14 dicembre 2010

Una suora speciale: la monaca di Monza




Il suo aspetto che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi scomposta.(…)Due occhi neri neri  anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercar un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un odio inveterato e compresso.”

Manzoni introduce così nel nono capitolo un personaggio nuovo: la monaca di Monza. Attua, una digressione per spiegarci la storia triste, ma affascinante di questa monaca.

La monaca, chiamata da tutti la Signora, era nata nella famiglia di un principe e le era stato dato il nome di Gertrude. Il patrimonio del padre era destinato al primogenito, ed essendo Gertrude l’ultima nata, fu fin da bambina abituata alla vita del monastero, i regali che riceveva erano, dunque, bambole vestite da suora o santini.

A sei anni fu inviata in un convento di religiose, a Monza, per l’educazione e l’istradamento. Nell’abbazia era considerata una bambina diversa dalle altre, sia perché figlia del principe, sia perché alcune suore erano d’accordo col padre sul destino della piccola. Lei non aveva idee chiare per il futuro, ma non aveva alcun’intenzione di diventare suora. Mentre il tempo trascorreva si incamminava sempre più in un vicolo cieco e spinta dalle sue compagne scrisse una supplica al vicariato per poter entrare in convento, ma poi si pentì. Decisa nel non voler farsi suora, su suggerimento di una religiosa, scrisse una lettera al padre dove esprimeva la volontà di rimanere laica. Il padre non vide bene quella lettera e per la ragazza non cambiò nulla.

La legge prevedeva che prima dell’ammissione al noviziato ogni ragazza dovesse trascorrere un mese nella casa natale. La ragazza sperava di impietosire il padre con pianti e preghiere costringendolo a non imporle il monastero. Ma nella casa del padre nessuno la ascoltò e quando arrischiava timidamente qualche parola veniva corrisposta con uno sguardo distratto sprezzante o severo. L’unica persona che la badava era un paggio a cui si era affezionata. Scrisse una lettera, ma venne scoperta da una serva che portò il testo al principe. I genitori approfittarono di questo nuovo fatto ed esercitarono su di lei un forte influsso psicologico perché rinunciasse ai suoi desideri.

Il principe raggiunse quindi il suo scopo, perché la ragazza vide come unica liberazione il monastero e scrisse così una lettera per chiedere perdono al padre.

Grazie alla figura presentata dal Manzoni si può capire come le persone che esercitano il proprio volere su un altro individuo fin dal momento in cui è bambino possono riuscire ad ottenere ciò che vogliono. Per ciò bisogna stare attenti a non farsi condizionare troppo da ciò che fanno o dicono gli altri, per non far sfuggire una vita, che è fin troppo preziosa, e non va sprecata per i comodi degli altri.

Chiara Capparotto

3 dicembre 2010

IL DOLORE PER LA LONTANANZA



“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari;[…] Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!”

Così Manzoni racconta le tristi parole che Lucia, una dei principali protagonisti del romanzo “I Promessi Sposi”, dice allontanandosi su una misera imbarcazione e salutando il suo piccolo paese lombardo, quel paese che l’aveva vista nascere, crescere, e nel quale molto probabilmente lei aveva anche progettato il suo futuro da sposa e madre di famiglia. Già, perché mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe dovuta allontanare dalla sua casa, gli amici, i monti, i fiumi … insomma, tutto ciò che fino a quel momento aveva osservato, conosciuto, amato.
Da questo passo, nel toccante discorso di Lucia, risalta quindi un sentimento esplicito di
nostalgia, ovvero di “dolore per il non ritorno”. La giovane infatti prova un desiderio penoso e melanconico per ciò che sta abbandonando per sempre e, innalzando una preghiera a Dio, vuole riacquistare la forza di vivere e di sperare, nonostante l’amara consapevolezza che i bei posti della sua infanzia e giovinezza saranno ormai troppo lontani.
Il termine “nostalgia” nasce grazie allo studio di un medico alsaziano che descrisse una strana malattia osservata tra i soldati svizzeri arruolati in reggimenti stranieri come mercenari e colti da febbre alta e da una profonda depressione che portava, in alcuni casi, anche al suicidio. Tutto ciò era causato da una canzone che ricordava a questi omaccioni le verdi colline e le mucche al pascolo della felice terra patria e che provocava loro questa nuova, dolorosa sindrome. Fu quindi successivamente e rigorosamente vietato intonare la canzone che diede origine ad una grande emozione ancora oggi provata da chiunque, almeno una volta nella vita.
Anche nella società moderna, con una maggiore possibilità di viaggiare rispetto al 1628, spesso si prova una leggera nostalgia di casa quando si è lontani da essa. C’è lo studente che va all’estero per effettuare degli studi; l’uomo meridionale che si sposta al Nord per cercare lavoro e fortuna; l’amico che si trasferisce in una città lontana perché ha cambiato casa. In tutte queste circostanze, capita di rimpiangere la lontananza da persone o luoghi cari, ma anche di un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere.                          
La nostalgia, dunque, dalle parole del filologo Antonio Prete, “ci dice costantemente che tutto ciò che abbiamo vissuto, che abbiamo amato, che abbiamo coltivato nel passato, non tornerà più, non ci appartiene più …”. E Manzoni ce lo racconta con le parole di Lucia, giovane paesana costretta a separarsi da ciò che fino a quel momento aveva reso felice ogni giorno della sua vita. Ora lei andava incontro ad una realtà diversa, sconosciuta; andava incontro ad una vita nuova.

Martina Scortegagna

30 novembre 2010

IL "MAFIOSO" DON RODRIGO

La figura di Don Rodrigo nel romanzo “I Promessi Sposi” ricopre il ruolo dell’antagonista, cioè colui che ostacola il protagonista. È un personaggio di origine spagnola che, vittima della sua ricchezza, compie atti di violenza nei confronti dei cittadini agendo spesso attraverso i Bravi, uomini a suo servizio. Manzoni non presenta una descrizione fisica, ma attraverso le  azioni di Don Rodrigo si possono capire alcune caratteristiche del suo carattere. Si può considerare il tiranno del paese, infatti compie il male per la sicurezza della sua posizione sociale e per l’appoggio di persone poco scrupolose che gli garantiscono l’impunità. In sintesi si può dire che Don Rodrigo è un personaggio predisposto al male, un personaggio che pretende attraverso la violenza il rispetto dei compaesani. Nonostante sia malvagio Rodrigo non ha il coraggio delle sue azioni, anzi è intimorito dalle conseguenze che esse possono causare. Il suo obiettivo principale fu quello di impedire il matrimonio tra Renzo e Lucia, protagonisti del romanzo, costretti a scappare per salvare il loro amore. Probabilmente Don Rodrigo dopo le minacce di Padre Cristoforo avrebbe abbandonato l’impresa, ma vi rimane soprattutto per una questione di orgoglio personale.
A distanza di 400 anni paragonare Don Rodrigo ad un personaggio attuale è ben difficile e complesso: può esistere un Don Rodrigo dei nostri tempi? Potrebbe essere, oggigiorno, un pretesto valido intromettersi in un matrimonio per ottenere uno scopo ben preciso? Ne vale la pena nonostante non si ottengano buoni risultati?
A queste domande è difficile rispondere perché oggigiorno esistono organizzazioni di potere che agiscono in vari livelli: politico, scolastico, civile..Un esempio di queste è la mafia, un’organizzazione ormai diffusa ovunque che, nascosta agli occhi dei cittadini, sottostà al presidio di un’unica fonte, che attraverso dei collaboratori soddisfa le proprie richieste. Queste organizzazioni, quindi, sono gestite a livello gerarchico da un individuo che può essere paragonato al Don Rodrigo del seicento. Anche se operano in ambiti diversi, entrambi i Don Rodrigo agiscono per il male, ma la loro malvagità ha limiti diversi: il Don Rodrigo del seicento ha un limite preciso, mentre quello attuale supera i limiti della dignità civile.

Carolina Rossi

27 novembre 2010

GARZONI:IERI COME OGGI


I garzoni, o meglio conosciuti come garzoncelli data la modesta età di chi svolgeva questo lavoro, erano lavoratori dipendenti che svolgevano le faccende e commissioni più varie.
Nel corso della storia, da quella più antica a quella più recente, troviamo una varietà illimitata di esempi di garzoni che lavoravano per uno stipendio fisso. Basta pensare all’epoca romana, dove i piccoli proprietari terreni che avevano perso tutto, si mettevano al servizio dei grandi latifondisti per ricevere delle ricompense in denaro o appezzamenti di terra per poi avere un possedimento proprio. Ancor più “popolari” invece, erano i garzoni che trovavano impiego nelle botteghe o, in ambito più artistico, diventavano aiutanti di artisti.
Altro caso, è quando i garzoncelli erano semplicemente giovani fidati che effettuavano ogni genere di commissione in cambio di qualche “mancia”, con la quale comprare un pezzo di pane da mettere sotto i denti o qualche altro genere alimentare, per assicurarsi di finire la giornata con qualcosa nello stomaco!! Ed è proprio di questi giovani tuttofare che ci parla Manzoni ne I Promessi Sposi, dei quali l’esempio più caratteristico è Menico.
“Agnese andò a una casa vicina, a cercar Menico, ch’era un ragazzetto di circa dodici anni, sveglio la sua parte, e che, per via di cugini e cognati, veniva a essere un po’ suo nipote. Lo chiese ai parenti, come in prestito, per tutto quel giorno, <per un certo servizio>, diceva. ”
Come capiamo da questo passo del romanzo, Menico è un giovinetto di circa dodici anni, che per via di alcuni cugini e cognati risulta essere nipote di Agnese. Mostra vivacità ed allegria, ma allo stesso tempo è un ragazzo intelligente, del quale ci si può fidare. È infatti lui stesso che compie egregiamente la missione affidatagli da Agnese (ovviamente in cambio di qualche soldo)…insomma, un vero e proprio garzoncello!                                            
Ma i garzoni non sono figure solo del passato; anche oggi infatti, non c’è da stupirsi se ci imbattiamo in qualche “giovane Menico”, o meglio in qualche giovane che per arrotondare la paghetta decide di cercare lavoro. E anche loro, come i garzoni di una volta, partono dallo spazzare il pavimento e pulire i tavoli o passare e pulire utensili, per poi acquisire sempre più importanza e prestigio in quello che fanno.
Sembrerebbe quindi che il garzoncello fosse un impiego per tutti, ma non è affatto così, anzi! Bisognava essere molto svegli e impegnarsi in quello che si fa, per ottenere qualcosa in cambio…insomma, prendiamo esempio da Menico!
Matteo Fontana

26 novembre 2010

FRATI IERI, FRATI OGGI

“ <<Deo gratias.>> […] e subito, fatto un piccolo inchino familiare, venne avanti un laico cercatore cappuccino, con la sua bisaccia pendente alla spalla sinistra, e tenendone l’imboccatura attortigliata e stretta nelle due mani sul petto.
<<Oh fra Galdino!>> dissero le due donne.
 <<Il Signore sia con voi, >> disse il frate. <<Vengo alla cerca delle noci.>> “
Fra Galdino viene presentato dal Manzoni come una persona umile e con un grande senso pratico tipico di chi deve far quadrare i conti; è anche abile nel conquistare la fiducia delle persone, in quanto capace di ascoltare e comprendere i problemi delle persone ed ha una grande capacità comunicativa.  Nelle righe del terzo capitolo però, dove ci viene presentata appunto la sua figura, fra Galdino è chiamato ad eseguire un compito diverso e di notevole importanza: deve riferire a fra Cristoforo l’urgenza di Lucia di parlare con lui.
Manzoni, attraverso questo personaggio, vuole presentare la figura dei frati e sottolineare in particolare due aspetti: il primo è quello che differenzia la loro categoria da quella dei preti e della chiesa in generale. Quest’ultima veniva considerata corrotta e troppo attenta alla politica e materialista, a differenza dei frati ritenuti una classe a parte, autonoma e vicina alla gente. Il secondo scopo è quello di valorizzare il loro compito all’interno della società del tempo. I frati, infatti, venivano considerati come delle persone su cui poter fare affidamento e con cui poter parlare dei propri problemi, come farà Lucia con fra Cristoforo.
I frati erano ben visti dalla gente del paese che, durante i periodi nei quali essi bussavano di casa in casa per racimolare qualche provvista, era disposta a donare una parte del proprio raccolto questuanti.
Al giorno d’oggi i frati sono visti in modo diverso, come persone con cui poter parlare avere un rapporto di fiducia, anche se meno di un tempo. Oggi è cambiata sia la modalità di incontro che di dialogo. Innanzitutto non ci sono più molte possibilità di contatto con questa categoria religiosa, in quanto i frati vivono in conventi o in luoghi più isolati e poi perché comunque la società attuale non è più molto attenta a questo tipo di comunicazione e interazione. Inoltre, essendo più difficile l’incontro, diventa anche più difficile il dialogo in sé, e quindi il considerare i frati come confidenti.
Saremo capaci di riscoprire la profondità del messaggio che lo stile di vita dei frati cappuccini ci propone? 
Noemi Bolzon

20 novembre 2010

Azzecca Garbugli: un professionista al servizio del potere



‘…quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia. (…) Il dottore era in veste da camera, cioè coperto d’una toga ormai consunta, che gli aveva servito, per molto ai addietro, per perorare…’.Così Manzoni descrive l’avvocato Azzeccagarbugli né ‘I promessi Sposi. La figura di questo personaggio è lo stereotipo dell’avvocato così come lo si è inteso fino a pochi anni fa, un singolo professionista in un piccolo studio. Negli ultimi decenni tutto ciò è cambiato ed ora esistono uffici di grandi dimensioni in cui lavorano decine o addirittura centinaia di avvocati. Tali strutture assomigliano più
ad un’azienda che non alla realtà del dottor Azzeccagarbugli.
Questo non è l’unico aspetto della vicenda in cui si può notare un’evoluzione con profondi cambiamenti tra passato e presente.
Ad esempio, la soggezione con cui Renzo si rivolge ad Azzeccagarbugli è tipica della persona ignorante nei confronti di chi ha studiato e perciò “sa”.
E’ un tratto assai comune nel rapporto tra cliente e avvocato che rimase fino a quando la scolarizzazione di massa e la diffusione di radio, televisione, giornali e per ultimo internet hanno reso le persone meno ignoranti. I mezzi di informazione, infatti, hanno fatto diventare accessibili a tutti una serie di concetti che prima erano conosciuti solo dall’avvocato.
Se alcuni aspetti cambiano, altri invece rimangono invariati negli anni.
Con riferimento allo svolgimento della difesa da parte dell’avvocato, l’attività viene riassunta da Manzoni attraverso Azzeccagarbugli con una frase breve ma efficace: “All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi imbrogliarle.”
Questa regola può essere considerata valida anche adesso perché il cliente deve raccontare la verità al proprio avvocato in modo che egli possa capire quali siano le leggi che si possono usare per meglio difendere il proprio cliente. Manzoni usa la parola ‘imbrogliare’, ma il termine è forse un po’ eccessivo e non è sempre detto che sia così: spesso in un processo le cose non sono bianche o nere ma grigie e sta all’avvocato riuscire a far sì che la decisione sia favorevole al proprio assistito utilizzando al meglio le leggi.
Un’altra caratteristica immutata negli anni è la possibilità per l’avvocato di rifiutare l’incarico.
Leggendo questo passo ci si pone, infatti, una domanda: anche un professionista moderno avrebbe potuto comportarsi come Azzeccagarbugli? La risposta è sì, nel senso che nel momento in cui un qualsiasi avvocato ritiene di non poter più seguire il caso che gli è stato affidato, gli è concesso di interrompere il rapporto con il proprio cliente.
Manzoni descrive il rifiuto del Dottore in modo molto negativo: il personaggio è infatti prepotente, un po’ bugiardo e sicuramente vigliacco. Lo sarebbe anche un avvocato di oggi che rifiuta il caso per gli stessi motivi di Azzeccagarbugli. Tuttavia se l’avvocato non se la sente di difendere il cliente è meglio che rifiuti il caso piuttosto che accettarlo e seguirlo male.
Emma Tessari

16 novembre 2010

PECCATO E RINASCITA: IL CASO FRA CRISTOFORO


 "Ci sono delle parole così espressive e forti da non essere utilizzate dalle persone bene educate se non a denti stretti e in momenti di particolare fervore e che comunque, nonostante questo, riescono ad essere efficaci ed immediatamente comprensibili evidenziandone l’energia e la potenza primitiva". Così Manzoni, in poche righe nel  IV capitolo esprime l’essenza di Fra Cristoforo.
Si tratta di un personaggio dalla storia particolare che nella vita si è trovato a vestire panni diversi e fortemente in contrasto: da ricco figlio di mercante, amante della bella vita, a devoto frate cappuccino dedito all’espiazione del peccato di gioventù. Ciò che sorprende di più nella vicenda è la sua indole sempre propensa a proteggere i poveri dai soprusi dei signorotti. Questo suo modo d'essere l'accompagna in tutta la vita anche se cambiano le motivazioni che lo spingono ad agire a favore dei più deboli: dapprima la volontà di mettersi in mostra e di sfidare gli altri ricconi locali, poi, dopo la conversione, il desiderio di riuscire così a scontare la propria colpa.
Fra Cristoforo è continuamente perseguitato da un pensiero legato alla sua giovinezza: l’omicidio da lui compiuto contro un nobile in seguito ad una disputa per futili motivi. Lodovico (il nome che aveva prima di prendere i voti) non si era mai perdonato la facilità con cui aveva freddato l’uomo, e aveva deciso che l’unica cosa possibile da fare, a quel punto, fosse quella di diventare frate e di sperare nella misericordia divina continuando a proteggere gli oppressi senza usare la violenza.
Fra Cristoforo, nella sua esistenza, aveva sempre cercato di conciliare i contrasti e di placare gli scontri, ma nella prima parte della sua vita aveva come scopo quello di emergere rispetto agli altri. Più tardi  il suo obiettivo fu semplicemente l'evitare il  ripetersi di episodi simili.  Questo modo di agire ricorda un po’ un ex brigatista, Roberto Adamoli, il quale, negli anni ’70, partecipò alla pianificazione di diversi attentati ed ora lavora presso la comunità di Don Mazzi per il recupero di persone con problemi sociali. Se prima l’intento era quello di migliorare la società, di spazzare via la mala politica e la corruzione attraverso il terrorismo, dopo il processo e la condanna qualcosa è cambiato ed ha capito che una nazione si può migliorare solo partendo dalle persone meno considerate, gli scarti, anche se questo può voler dire non far sentire la propria voce in modo prorompente.

Eleonora Ciscato

27 ottobre 2010

ASPER VS AMOENUS




Il romanzo “I Promessi Sposi” si apre con la dolce e famosa descrizione del Manzoni di “quel ramo del lago di Como” descrizione che prosegue con la presentazione dei monti circostanti,del fiume Adda, della città di Lecco e dei paesini circostanti. Questo paesaggio quasi “idilliaco” è un vero esempio di LOCUS AMOENUS, un luogo piacevole, luminoso dove regna la serenità e la tranquillità. L'unico contrasto che si presenta a questo bel paesino è la presenza della guarnigione di soldati spagnoli.
Questo termine è utilizzato in letteratura per descrivere luoghi idealizzati,simili al paradiso terrestre solitamente situati vicino ad una fonte dove la natura è protagonista.
Mentre nel V capitolo dei “Promessi Sposi” viene presentato al lettore un luogo completamente diverso da quello che invece compare all'inizio del romanzo, con l'amena descrizione del Lago di Como : il terribile palazzotto del malvagio Don Rodrigo.
Il paese dove vive il “cattivo” della storia ,viene definito come un LOCUS ASPER, un luogo del tutto isolato.
La sua dimora assomiglia ad una “bicocca”, una vecchia e piccola rocca posta su un'altura ed è stato identificato in una dimora nobiliare che sorge sullo Zucco , un colle che domina Olate, dal quale si può vedere la costa del lago.
Si trova più su rispetto al paese degli sposi e dista tre miglia dal paese di Renzo e Lucia ,e 4 dal convento.
Intorno al palazzo ci sono delle casupole dove vi abitano gli uomini del paese , contadini di don Rodrigo, che avevano tutti un'aria severa e arcigna. Non solo l'ambiente ed il palazzo ,ma anche le donne sembrano dei maschi,erano muscolose e prepotenti come i ragazzi che si trovano per strada ,arroganti e antipatici.
Il palazzaccio somiglia ad una “casa abbandonata”:balconi vecchi sbarrati da inferiate come se fossero delle prigioni,dall'esterno non si sente nessun suono,nemmeno una voce, musica , allegria,proprio niente...è un luogo buio e silenzioso che sembra disabitato come il cuore e l'anima di don Rodrigo; infatti il luogo che ci viene descritto rispecchia decisamente il carattere ed il modo di vivere di costui.
All'entrata vi sono due vecchi avvoltoi , esseri morti,uno spennacchiato e l'altro pennuto, i due bravi sdraiati sulle panche aspettano gli avanzi della cena del Signore con due mastini che fanno da guardia. Crudeltà,oscurità e anche paura sono i sentimenti che questo palazzotto impenetrabile e decadente trasmette.
Leggendo questi passi mi è tornato in mente un viaggio che ho fatto alcuni anni fa con i miei genitori a Fussen, in Germania. I castelli che ho qui visitato in particolare uno ,quello di Neuschwanstein , mi ricordano la dimora triste e cupa di don Rodrigo. Mentre ascoltavo la storia della vita del re Ludwig II mi ha pervaso un senso di malinconia ,oppressione e mistero. Questo personaggio tanto amato ma allo stesso tempo odiato ,“pazzo” e omosessuale, è annegato in giovane età nel Lago di Starnberg.

Veronica Rigodanza

25 ottobre 2010

Bravi VS Picciotti



BRAVI vs PICCIOTTI:

I Bravi!chi erano costoro?
" Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi."
Così li ha descritti il Manzoni nelle pagine del suo romanzo "I Promessi Sposi",descrizione che è arrivata fino ai giorni nostri grazie all'immortalità del romanzo.Ma chi erano dunque questi "loschi"personaggi?
In generale erano degli sgherri che tra il 1500 e il 1600 stavano al servizio dei signorotti di campagna,nel nostro caso don Rodrigo,con il compito di garantire che nel territorio di competenza del loro padrone il suo volere fosse rispettato,con le buone o con le cattive!
Insomma,un vero e proprio "braccio armato" del potente locale!
Anche il loro aspetto fisico era ben caratterizzato in particolare dalla presenza di un grande ciuffo di capelli che in quell'epoca era considerato come un segno di malvagità e trasgressione. Dalla particolare attenzione che usa il Manzoni nel i bravi è chiara la sua volontà di evidenziare ogni loro caratteristica, partendo proprio dal loro modo di vestire. Tutto in loro trasuda violenza e prepotenza; le stesse armi che portano,quasi per farli apparire ancora più terribili, vengono dal Manzoni nominate con termini sinistri come "spadoni" e "coltellacci".
C'è chiaramente dell'ironia nel chiamare bravi questi tipi violenti e minacciosi, ma questo contrasto serve proprio per far risaltare ancora di più la loro cattiveria.
Si ricordava in precedenza che il periodo dei bravi fosse quello del 1500/1600, tanto che lo stesso Manzoni,che scrive "I Promessi Sposi" nella prima metà del 1800,sottolinea il fatto che tali figure non esistessero più alla sua epoca.Ma siamo proprio sicuri di ciò?Siamo proprio sicuri che la figura dei bravi sia scomparsa circa 500 anni fa? Oppure ci sono ancora oggi dei bravi tra noi?
A mio parere anhe ai giorni nostri ,in certe zone dell'Italia,si possono trovare figure molto simili a quella dei bravi.Penso a quelli che,come i loro "predecessori",stando al soldo di potenti signorotti locali,inseriti in organizzazioni malavitose,impongono,con l'arma della paura e,all'occorrenza,della violenza,la volontà del loro padrone o,se vogliamo,del loro........Padrino!E' evidente come mi riferisca alla organizzazione mafiosa nella quale rivestono un ruolo molto importante i picciotti.
I picciotti possiamo definirli come i soldati semplici della criminalità organizzata,il gradino più basso della scala gerarchica di Cosa Nostra al cui vertice sta il capo dei capi,il Padrino .Anche i picciotti sono stati spesso descritti nella letteratura e nel cinema con elementi caratterizzanti quali i baffetti, la coppola calcata in testa e il fucile a canne mozze a tracolla.
E' così assurdo quindi affermare che i bravi stavano al signorotto locale come i picciotti stanno al capo mafia?.

Riccardo Vinci 2^ds

20 ottobre 2010

Como e Pescarenico: due città sullo stesso lago


Da “I Promessi Sposi” di A. Manzoni
... -E' Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell'Adda, o vogliam dire del Lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare...-.
Da quando Alessandro Manzoni ha descritto questi territori essi sono rimasti quasi immutati nel corso del tempo. Solo poche case e qualche nuovo edificio hanno cercato di dare un aspetto più moderno a questa parte della vecchia Lecco. La principale attrattiva di Pescarenico è costituita dalle piccole stradine e dalle casette con i vecchi balconi dietro alle quali si trovano splendidi giardini. In piazza invece, è caratteristica la parrocchia dei SS. Lucia e Materno e l'antica chiesa del convento. Secondo alcuni racconti popolari la prima pietra fu posta nel maggio del 1576, per il volere del governatore locale.
Oggi Como è Città e capoluogo di provincia della Lombardia, situata all'estremità meridionale del ramo occidentale del lago omonimo, in una esigua pianura limitata da rilievi prealpini e da colline. Il primo nucleo della città sorse sul luogo di un insediamento gallico del VI-V secolo a.C. Comune dall'XI secolo ed in lotta con Milano per motivi territoriali fra il 1118 e il 1127, Como subì gravi distruzioni, ma venne ricostruita e nuovamente fortificata. Indebolita dalle contese interne, divenne infine una signoria dei Visconti, e da allora la sua storia politica coincise con quella di Milano.
Essendo appoggiata ai rilievi dell’ arco alpino, questo territorio per gli amanti o per gli appassionati della montagna è ricco di opportunità. Attraverso percorsi guidati, i turisti potranno passare varie ore a stretto contatto con la natura dimenticando quindi la confusione e i ritmi frenetici che caratterizzano la vita nelle grandi città. Animali come lepri, cervi, stambecchi, fagiani e molti altri tipi di uccelli popolano la maggior parte delle valli che non sono ancore a state soffocate dalla costruzione di lussuose dimore che invece, costeggiano le rive più belle dei laghi comaschi.
In piazza San Fedele, fino alla metà dell’ 800 , si svolgeva il mercato. Oggi, essa è sede di numerosi negozi di gioielli moderni e antichi e di bar con tavolini all’aperto nei quali visitatori ed escursionisti si potranno concedere una piccola pausa. Tutti i giorni , dopo l’orario di chiusura dei negozi , la città si illumina con i suoi esclusivi locali nei quali giovani ed adulti si ritrovano per sorseggiare assieme agli amici un cocktail al tramonto sul lago.
Negli ultimi anni si sono sviluppati anche gli sport acquatici come vela, sci nautico e canoa. Inoltre, grazie a varie scuole dotate delle più moderne attrezzature è possibile praticare queste splendide attività a tutti i livelli.

Segato Giacomo Filippo
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18 ottobre 2010

Don Abbondio, un ignavo alla corte dei malvagi.....senza saperlo

 


Don Abbondio: un ingnavo alla riva del lago!





Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scansare() Se si trovava assolutamente costretto a prendere parte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere allaltro che egli non gli era volontariamente nemico: pareva che egli gli dicesse: ma perché non avete saputo essere voi il più forte? Chio mi sarei messo dalla vostra parte.

Con queste parole Manzoni ci introduce Don Abbondio, un personaggio statico, dal carattere pieghevole, divenuto prete perché, resosi conto di essere debole, aveva capito che solo in quella condizione avrebbe potuto difendersi da un mondo difficile. Un mondo grande, formato da persone potenti e influenti , in cui i più timorosi e incerti come lui, trovano più conveniente essere la carrozza di un treno che va dove il locomotore la porta.
Don Abbondio, era sì un uomo debole e sottomesso, ma talvolta si dimostrava anche altezzoso e abbastanza forte nei confronti dei deboli come lui; ne è un esempio il colloquio con Renzo nel 2°capitolo, in cui per metterlo in difficoltà il prete parla al promesso sposo in latino, lingua che ovviamente quest’ultimo non conosceva.
In tutta la sua vita non gli era mai successo niente di male perché era un galantuomo, almeno così diceva per giustificare tale situazione, ed era uno di quegli uomini che Dante avrebbe annoverato tra gli Ignavi nella “Divina Commedia” .
Era uno che potrebbe essere definito come un uomo “senz’arte né parte”, perché non prende mai posizione e non dice le sue opinioni, ma al contrario preferisce tacere e fare la spia solo se gli viene chiesto da qualcuno che è più forte di lui.
In ogni categoria cè un Don Abbondio, ovvero uno che dice: io non voglio avere problemi e che ascolta solo ma non commenta per paura di andare nei pasticci.
Sono persone delle quali è difficile fidarsi, perché sono pronte a fare la spia se gli viene richiesto, e che secondo me non sono in grado di sfruttare le possibilità date, come la parola, per segnalare la loro presenza, per crearsi un posto allinterno della comunità o del gruppo di cui fanno parte.
Sono anche persone sulle quali si può difficilmente contare, persone che ti possono girare le spalle in un batter docchio insomma persone spregevoli e tali da essere ingiuriate.
Valentina Bastianello

15 ottobre 2010

E noi ve lo faremo piacere.



Dovevano essere venticinque lettori. Questo almeno è quello che pensava il buon Alessandro Manzoni quando, nel 1827, offre alle stampe la prima edizione de "I Promessi sposi". E ce lo dice pure ripetutamente nelle numerose pagine del suo romanzo. Sono passati quasi due secoli e quei venticinque lettori sono diventati molti più di 25 milioni. Un'opera nata quando interessarsi al romanzo era come dichiararsi sempliciotto e sprovveduto ha invece condizionato almeno quanto la Divina Commedia la letteratura e la cultura italiana. Possiamo proprio usare questa parola, "italiana", perchè oltre a condizionarla l'ha proprio creata. Una sorta di motore propulsore, un inpout che ha dato la spinta ad altri romanzieri ad occuparsi di questo genere considerato minore, di serie C, per donne ( e all'apoca questa era un'offesa), un genere inferiore alla lirica o al teatro tragico, i due capisaldi su cui si fondava il primato della letteratura italiana.
Ma noi ve lo faremo piacere, perchè questo romanzo scritto in tre step tra il 1821 e il 1840, con diverse revisioni e trasformazioni, scritto da un uomo che non si è più avvicinato ai romanzi e che li considerava come un errore di (semi) gioventù, è un signor romanzo. Odiato e bistrattato dagli studenti perchè se lo vedono sbattuto lì davanti sotto forma d'obbligo, mal ricordato da quanti l'hanno letto, è comunque dotato di un intreccio straordinario e di uno spessore nella descrizione dei personaggi che non ha pari. Viaggeremo un po' alla volta, per quasi un anno, tra le pagine di questo romanzo. Ci soffermeremo su alcuni personaggi, sui problemi dell'epoca, sulle descrizioni di luoghi e paesaggi, ma soprattutto faremo di tutto per riuscire ad attualizzare il più possibile il contenuto. Quel Renzo, così genuino e simpatico, personaggio in cui molti tendono ad immedesimarsi, e quella Lucia, spesso antipatica nella sua immobilità, o ancora quel Don Abbondio, pretino di campagna incapace di prendersi le proprie responsabilità, ci faranno compagnia. Ma non pensate che dovremmo per forza andarci d'accordo, perchè con alcuni ci arrabbieremo, li prenderemo in giro e proveremo ad immaginare come potrebbero essere oggi i loro cloni moderni. Perchè è pur sempre vero che un Don Rodrigo, un Cardinale Borromeo, un'Agnese, anche oggi esistono, ma hanno altri nomi. E gli innamorati che devono scontrarsi con le famiglie di origine per arrivare all'altare ci sono ancora, anche se meno di un tempo.
Un'opera insomma che ha voluto far riflettere, in un'epoca in cui l'Italia sembrava non rendersi conto che era necessaria una presa d'atto della propria situazione politica, perennemente in balia degli stranieri pronti a conquistare, e della propria condizione di bisonti irremovibilmente statici, incapaci di guardare avanti e cercare di accordarsi per unirsi, per trasformare una nazione fatta di stati e staterelli di dominio estero in una vera e propria potenza.
E Manzoni critica, sottilmenete e senza prendersene la responsabilità (pensiamo allo stratagemma del finto ritrovamento della versione originale) e le sue critiche muoveranno gli animi dei lettori......che un po' alla volta si renderanno conto che anche un libro può educare e far riflettere.
Anche per noi "I Promessi sposi" serviranno a ciò? Forse no, probabilmente no, ma ci faranno capire quanto un opera può cambiare il destino di una nazione, e di una cultura.

Simone Ariot